Dopo un avvio in sordina, trascinato al ribasso dalle notizie provenienti dal Giappone, i mercati statunitensi (Nasdaq escluso) riescono ad interrompere la serie di quattro sedute consecutive di perdite. Nonostante le pressioni al rialzo sui rendimenti obbligazionari, innescate dall’aggressivo slancio di inasprimento monetario delle principali banche centrali, solamente quattro degli undici settori statunitensi chiudono in territorio negativo (consumo discrezionale, Real estate, consumi di beni di prima necessità e sanitario).
A sostenere il listino ci ha pensato nuovamente il settore energetico, in rialzo da inizio anno del 45%, grazie ai rimbalzi sul prezzo del greggio, salito ieri di oltre l’+1%, dopo che le letture sulle scorte statunitensi hanno evidenziato cali per la scorsa settimana, superiori alle attese. Anche il calo del dollaro USA ha favorito le prospettive dei titoli maggiormente legati alle esportazioni.
D’altro canto, tra le singole azioni, Tesla è crollata di oltre il 7%, portando il titolo a scambiare sui prezzi del 2020. Capitalizzazione complessiva che ora passa a $435 mld, in decima posizione nella classifica mondiale, superata persino da Exxon e Johnson & Johnson. Musk che cerca di spiegare il calo su Twitter riportando: “Man mano che i tassi di interesse dei conti di risparmio bancari, che sono garantiti, iniziano ad avvicinarsi ai rendimenti del mercato azionario, che *non* sono garantiti, le persone sposteranno sempre più i loro soldi dalle azioni alla liquidità, provocando così il calo delle azioni”. Tuttavia, resta indubbio come negli ultimi sei mesi la casa automobilistica di Elon Musk abbia visto cedere quasi il 42%, rispetto al +7% di GM e al +1% di Ford.
Restando in tema di correzioni ieri Amazon è diventata la prima società tra le big americane a subire un calo di oltre 1.000 miliardi di dollari. Osservando infatti Apple, Amazon, Alphabet, Microsoft, Meta e Tesla si osserva come tutte queste società registrano cali di oltre 750 miliardi di dollari di capitalizzazione, per un calo combinato di oltre 5.000 miliardi di dollari.
Europa che chiude prevalentemente in territorio positivo, sostenuta dal suo settore bancario. Le analisi ieri pubblicate da parte della BCE hanno infatti evidenziato come “Il settore bancario è sufficientemente solido per gestire gli effetti dell’aumento dei tassi sui propri bilanci. Tuttavia, le banche devono prepararsi ai potenziali effetti a più lungo termine legati alla normalizzazione della politica monetaria. E dovrebbero prestare particolare attenzione alla gestione del rischio-tassi nella gestione di impieghi e passività”. Semaforo verde da parte dell’analisi scritta da Andrea Enria (presidente della vigilanza bancaria della Bce) e Luis de Guindos (vicepresidente Bce) che innescato un deciso rally con il settore che registra un +4% di rendimento medio da inizio anno (osservando i titoli bancari presenti all’interno dell’ETF EXV1).
Mentre in Italia cresce il dibattito sui Pos, la BCE ha ieri riportato la decisa crescita dell’utilizzo del contactless da parte dei consumatori europei. Dalla seconda indagine a tema è emerso come il contante continua a mantenere il primato in termini di numero di transazioni, ma il suo vantaggio si è ridotto ad appena il 59% rispetto al 72% del 2019. Contante che rappresenta ancora il 70% o più dei pagamenti nei punti vendita di Malta, Slovenia e Austria, (in Italia e Spagna è pari rispettivamente al 69% e 66%)) mentre si attesta intorno al 20% nei Paesi Bassi e in Finlandia.
In termini di controvalore dei pagamenti, tuttavia, le carte (46%) rappresentano una quota maggiore di transazioni rispetto ai pagamenti in contanti (42%). Ciò contrasta con il 2016 e il 2019, quando la quota delle transazioni in contanti era superiore alla quota delle transazioni con carta (54% rispetto al 39% nel 2016 e 47% rispetto al 43% nel 2019).
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