Powell di nuovo protagonista, come un anno fa.

Crescono i mercati finanziari sulla scia delle parole più dovish da parte di Jerome Powell. Strano il destino, lo stesso giorno di un anno fa, era il 30 novembre 2021, lo stesso presidente della Fed portò al ribasso i mercati ritirando la parola transitoria come aggettivo sulle pressioni inflazionistiche e sostenendo come fosse opportuno valutare un ritmo maggiore sulla restrittiva politica monetaria. Decisione che, con il senno di poi, sappiamo essere stata corretta ma forse un po’ ritardata.

Il discorso di ieri da parte del presidente della Fed Jerome Powell, al Brookings Institute, è stato accolto positivamente dai mercati, soprattutto sul tecnologico Nasdaq, poiché ha indicato che un ritmo più lento dei rialzi dei tassi potrebbe arrivare già nella riunione di dicembre. Ha inoltre indicato come ci siano segnali di speranza che l’inflazione possa diminuire, sebbene la strada da percorrere per ripristinare la stabilità dei prezzi sia ancora lunga. Sebbene i mercati avessero già anticipato tale possibile percorso della Fed, le probabilità per un aumento di 50 pb nella prossima riunione di dicembre sono cresciute, passando dal 66,3% di lunedì all’attuale 79,4% di probabilità. Viene inoltre ad essere rivisto al ribasso il nuovo percorso della Fed, con il tasso atteso che a febbraio passa da un 5% ad un previsto 4,75%, così come il tasso terminale scende dal 5,25% ad un attuale 5%

Nel frattempo, i rendimenti dei Treasury sono scesi. Il rendimento a 10 anni è ora sotto il 3,70%, mentre il rendimento a 2 anni è al 4,38%. Anche il dollaro statunitense ha continuato a deprezzarsi, scendendo di quasi l’1%. La combinazione di rendimenti più bassi e di un dollaro più debole ha probabilmente favorito il sentimento del mercato in generale, soprattutto del più sensibile tecnologici. Il rimbalzo del petrolio WTI, tornato sopra gli 80 dollari, ha sostenuto i titoli energetici, sulla scia delle speculazioni su ulteriori tagli alla produzione dell’OPEC+.

In Europa invece è l’inflazione a tenere banco, con i prezzi dell’Eurozona che a novembre registrano il primo rallentamento dopo 17 mesi di rialzi. Lettura dell’inflazione su base annua che registra diminuzioni nella maggior parte dei paesi, 14 per la precisione, aumenti su tre (Slovenia, Slovacchia e Finlandia) mentre Francia ed Italia riportano valori stabili. Prematuro, tuttavia, brindare a tali dati. Si resta ancora alle spalle del percorso americano, ma la lettura di ieri accompagnata da una Fed meno falco ridurranno le pressioni sulle scelte di politica monetaria da parte dell’Eurotower.

Novembre che chiude in deciso guadagno, con lo S&P 500 +5,38% e il Nasdaq 100 +5,48% ma stranamente ben al di sotto dei rendimenti europei: Stoxx 600 6,75%, con Milano +8,64%, Francoforte +8,63%, Parigi +7,35% e Londra 7,11% così come globali: Hong Kong +26%, Shanghai +9,81%, mercati emergenti (EEM) +15,59% e con l’ETF CWI (tutti i paesi escluso l’America) a +13,32%, tutto questo nonostante il dollaro americano (DXY) abbia registrato una flessione a novembre del 5,11%. Difficile trovare una risposta ad una simile lettura.

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