Seduta in leggera contrazione quella di ieri sulle principali piazze finanziarie, con le performance settimanali, tuttavia, ancora in territorio positivo. L’apertura europea è stata negativa, sulla base del timore che le ostinate pressioni inflazionistiche costringano le banche centrali a continuare ad alzare i tassi di interesse. L’inflazione al consumo del Regno Unito a marzo è salita del +10,1% annuo, superiore alle aspettative di +9,8% annuo. Dato che conferma le problematiche inglesi, con un’inflazione al consumo troppo alta ma soprattutto ben lontano da quelle delle altre maggiori economie. Inflazione in Europa che invece non ha riservato sorprese, confermandosi al +6,9% (come da lettura preliminare), in calo per il quinto mese consecutivo dal massimo storico del 10,6 per cento dello scorso ottobre.
Negli Stati Uniti, le banche regionali registrano un deciso rialzo, sebbene ancora in calo del 24.7% da inizio anno. A sostenere il comparto la pubblicazione dei conti di Western Alliance Bancorp (ieri in crescita del +24%) dopo l’annuncio che i suoi depositi sono aumentati di 2 miliardi di dollari dalla fine del primo trimestre, attenuando le preoccupazioni sulla liquidità. La lettura del Beige Book della Fed di ieri è stata alquanto neutrale, evidenziando in particolare come “l’attività economica complessiva è rimasta invariata”, con una spesa per i consumi generalmente piatta o leggermente in calo nei 12 distretti della Fed. Inoltre, “i livelli generali dei prezzi sono aumentati moderatamente durante questo periodo di riferimento, anche se il tasso di crescita dei prezzi sembra rallentare”. Infine, o diversi distretti hanno notato che le banche hanno inasprito gli standard di prestito in un contesto di maggiore incertezza e di preoccupazione per la liquidità. La lettura americana sulla percentuale netta di banche nazionali che inaspriscono gli standard per i prestiti commerciali e industriali a imprese di grandi e medie dimensioni si posiziona nel primo trimestre 2023 al 44,8%, su livelli ai quali abbiamo sempre assistito a recessioni dal 1990 ad oggi.
Sebbene le trimestrali americane restino in generale positive, lo stesso non può dirsi per i grandi nomi di Netflix e Tesla – in attesa dei prossimi grandi nomi delle Big Tech – entrambe non apprezzate dagli investitori. Se la prima ha mostrato dati non eclatanti (tuttavia decisamente migliori rispetto allo scivolone dello scorso anno sul Q1), su Tesla le preoccupazioni sui margini, dopo i vari tagli nei prezzi di listino, si sono materializzati con la marginalità lorda scesa di 10 punti percentuali al 19% e quella operativa di 8 punti percentuali all’11%. Dati che mostrano preoccupazione, sebbene restino tra i più elevati del settore. Strategia futura che punta, a far forza sui volumi più che sui margini – difficile altrimenti raggiungere l’obiettivo prefissato di vendere 20 milioni di veicoli all’anno entro il 2030, rispetto ai circa 1,3 milioni del 2022. Per avere un quadro di misura Toyota, il produttore di auto più venduto a livello globale nel 2022, ha consegnato lo scorso anno circa 10,5 milioni di veicoli. Mercati che tuttavia non sembrano apprezzare la direzione, con il titolo che in After hours perde circa il 6%.
Sul fronte delle trimestrali si riporta invece la crescita da parte di Intuitive Surgical +10%, in testa ai guadagni del Nasdaq 100, dopo aver restituito un fatturato Q1 di 1,70 miliardi di dollari, superiore al consenso di 1,60 miliardi. Bene anche Abbott Laboratories +7% dopo aver riportato un fatturato netto Q1 di 9,75 miliardi di dollari, superiore al consenso di 9,65 miliardi di dollari, così come per United Airlines Holdings +7% dopo aver riportato una perdita per azione rettificata nel 1° trimestre di -63 centesimi, inferiore al consenso di -73 centesimi.
Interessanti movimenti vengono inoltre ad essere registrati sul mondo delle materie prime, con i prezzi del petrolio in calo, dopo il forte rally degli ultimi giorni. Situazione che trova risposta da un punto di vista tecnico, con la tenuta dell’area di resistenza e della media mobile a 200 giorni, e meno da un punto di vista fondamentale.
I timori di recessione degli Stati Uniti hanno ricominciato a crescere e il dollaro USA a rimbalzare, il che potrebbe essere la causa del calo dei prezzi. Così come la possibilità di una nuova vendita di riserve strategiche da parte degli Stati Uniti. Con i mercati europei preoccupati per la tenuta del price cap sul greggio russo e quelli globali su possibili risposte da parte dell’OPEC+ (sebbene premature) la volatilità sul mercato potrebbe nuovamente tornare.
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