Il Covid e la Cina ritornano protagonisti sui mercati.

Siamo ben lontani, per fortuna, dagli effetti e dalle preoccupazioni di due anni fa. Tuttavia, lo scenario di nuovi blocchi fa temere i mercati per un ulteriore rallentamento dell’economia locale, con le relative interconnessioni che l’effetto genererebbe sulle economie mondiali, esacerbando i rischi di recessione. Non a caso gli indicatori legati alla paura di recessione hanno ieri virato verso l’alto: prezzo del petrolio in calo su minimi di oltre un anno, inversione della curva dei rendimenti (10 anni – 2 anni/3 mesi) nuovamente al ribasso, così come in calo il prezzo del rame. Unico indicatore in controtendenza il dollaro americano. Sebbene a breve, alle 08:00 orario italiano, la Commissione sanitaria nazionale cinese sarà attesa tenere un briefing, le attese restano negative, poiché tali riunioni non includono alti funzionari politici (come ci si aspetterebbe in caso di cambiamenti di tale portata).

Correnti di preoccupazioni che non hanno scoraggiato ieri il Presidente della BCE Christine Lagarde dall’annunciare, davanti al Parlamento Europeo, una lotta all’inflazione in Europa ancora ben lontana dall’essere risolta. Costo della vita nel Vecchio Continente che risulta essere ben lontano dalla traiettoria americana, con nuovi aumenti dei tassi ancora attesi (così come tagli al suo bilancio). Settimana che vedrà proprio l’inflazione protagonista nelle letture europee, con il rischio soprattutto che i rincari a monte della produzione debbano ancora venire completamente scaricati a valle nel consumo.

Restando proprio in tema di consumo, le rilevazioni da parte di Adobe sulle vendite per il Black Friday e sulle aspettative nella stagione natalizia mostrano una crescita dei valori in termini assoluti. Dati che hanno pertanto generato una boccata di ossigeno sulla resilienza dei consumatori americani. Restano tuttavia preoccupazioni dietro tali rilevazioni. In primis, si nota un deciso calo nella crescita annua delle ultime rilevazioni e in secondo, essendo i dati in valori nominali, con un’inflazione che sfiora l’8%, ciò significa in realtà che molti rivenditori stanno invece perdendo terreno in termini reali.

Se in Europa la Lagarde è rimasta falco a tenere tale maschera in America ci ha pensato il consueto James Bullard, il quale ha ieri ribadito come il mercato stia sottovalutando il picco dei tassi. Già in occasione di un suo intervento di poche settimane fa il presidente della Fed di St. Louis aveva infatti ribadito come i tassi di interesse potrebbero dover raggiungere un intervallo compreso tra il 5% e il 7%, stando alla regola di Taylor, per essere “sufficientemente restrittivi” al fine di frenare l’inflazione. Toni più morbidi sono invece stati utilizzati dal presidente della Fed di New York, John Williams, il quale ha riportato come i tassi potrebbero scendere nel 2024 a causa del calo dell’inflazione.  Williams che ha tuttavia anche affermato come una domanda più forte del mercato del lavoro, così come nell’economia e nell’inflazione di fondo, suggeriscono un percorso dei tassi leggermente più alto di quanto inizialmente previsto a settembre.

Correzioni di ieri nei mercati che vedono oggi già nuovi acquisti, segnale di un rally natalizio che fatica a voler cedere il passo. Tuttavia, resta la preoccupazione di possibili prese di profitto nel breve. Con il numero di titoli all’interno dello S&P 500 al di sopra della propria media mobile a 50 periodi che registra segnali di massimi (linea blu),

così come un indicatore in territorio di avidità, resta l’attenzione per una possibile futura inversione.

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