Nino Manfredi diceva: “Il caffè è un piacere, se non è buono che piacere è?”. Oggi, però, quel piacere rischia di essere non solo meno accessibile, ma anche più caro. I dati parlano chiaro: da inizio anno, i prezzi del caffè sono aumentati del 69%, spingendo i futures a New York ai livelli più alti dal 1977. Questo rally, guidato da una combinazione di fattori climatici, regolamentari, economici e speculativi, è emblematico di come le filiere globali siano vulnerabili a tensioni senza precedenti.
La situazione attuale non riguarda solo il caffè. Il cacao (il quale quest’anno ha marcato i suoi massimi storici), pur avendo segnato un calo rispetto ai massimi di aprile, ha registrato un aumento impressionante del 112% da inizio anno. Anche l’aranciata (su nuovi massimi storici) e il tè hanno subito rincari significativi, rispettivamente del 59% e del 42%. In questo contesto, il latte, con un incremento limitato al 9%, si presenta come una delle poche alternative meno onerose per la colazione. Tuttavia, questi numeri rappresentano solo la superficie di un problema molto più profondo.
Il fenomeno climatico El Niño, ciclico ma sempre più imprevedibile, ha giocato un ruolo chiave. Questo evento, che provoca il riscaldamento delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico, ha devastato i raccolti in Sud America e Sud-Est Asiatico. Il Brasile, principale esportatore di arabica, ha subito una grave siccità, riducendo la produzione di una delle varietà di caffè più pregiate. Allo stesso tempo, il Vietnam, leader nella robusta, ha visto alternarsi siccità e piogge torrenziali, danneggiando il raccolto proprio nel periodo cruciale della raccolta.
Circa 40 paesi coltivano caffè, ma la sola combinazione di Brasile e Vietnam rappresenta il 56% della produzione mondiale di caffè. Questo significa che le difficoltà affrontate da questi due paesi si riflettono immediatamente nei mercati globali, amplificando la volatilità. Ma anche altri paesi produttori, come la Colombia, si stanno ancora riprendendo dagli effetti della siccità causata da El Niño, mentre forti piogge recenti hanno sollevato preoccupazioni sui raccolti in Costa Rica e Honduras.
I mercati finanziari hanno reagito con una volatilità marcata. I futures sul caffè hanno raggiunto livelli che non si vedevano da oltre quattro decenni. Questa corsa al rialzo non è solo frutto di condizioni climatiche avverse. La domanda globale, in particolare dai mercati emergenti come la Cina, sta crescendo rapidamente, aggiungendo ulteriore pressione su un mercato già stressato. A complicare il quadro si aggiungono le dinamiche speculative. I dati del Commitment of Traders (COT) mostrano una forte divergenza tra le posizioni degli speculatori e quelle degli hedgers. I grandi speculatori (linea verde nel secondo grafico) hanno accumulato posizioni lunghe nette ai massimi, segnalando aspettative rialziste, mentre i produttori e trasformatori (Commercials, linea rossa) hanno assunto posizioni corte significative, cercando di proteggersi dal rischio di una correzione. Una divergenza non di poco conto.
In Brasile, le difficoltà non si limitano ai produttori. Due esportatori di caffè, Atlântica Exportação e Cafebras, hanno chiesto una tolleranza di 60 giorni per rinegoziare il debito, segno evidente che i costi crescenti stanno erodendo i margini anche delle aziende più solide. Questa situazione riflette un problema strutturale: il mercato dei futures, utilizzato tradizionalmente come strumento di copertura, si è trasformato in un ulteriore fattore di pressione.
Questa combinazione di fattori sta mettendo a dura prova anche i grandi operatori della filiera. Nestlé, il più grande produttore di caffè al mondo, ha annunciato ulteriori aumenti di prezzo e la riduzione delle dimensioni delle confezioni per assorbire i costi delle materie prime. Altri operatori, come Pret A Manger nel Regno Unito, hanno deciso di interrompere programmi come l’abbonamento che permetteva di consumare bevande illimitate. Persino i torrefattori locali stanno reagendo: Variety Coffee Roasters, a New York, aveva aumentato i prezzi del 5%, il primo rialzo in cinque anni.
In Italia, i rincari delle bevande per la colazione riflettono pienamente queste dinamiche globali. A ottobre, i prezzi del caffè hanno registrato un aumento dell’11,8% (record storico), seguiti dal cacao in polvere con un +9,6%, mentre il tè, sorprendentemente, ha mantenuto un’evoluzione negativa, segnando un calo dell’1,5%.