Estrema Paura

Uno dei più citati aforismi di Warren Buffett è “si timoroso quando gli altri sono avidi e avidi solo quando gli altri sono timorosi” e attualmente nei mercati statunitensi il Fear & Greed Index, pubblicato dalla Cnn, mostra un livello di estrema paura a 19 punti.

Con i mercati che hanno paura della loro stessa ombra, tra alternanza di “vecchie cantilene” che ormai da quasi un anno ci accompagnano: rialzi dei tassi, inflazione, rallentamento economico, lockdown cinese, rialzi dei prezzi energetici e guerra commerciale USA/Cina, per citarne alcune, gli investitori faticano a trovare quell’ottimismo necessario per invertire la rotta. La speranza è che la stagione delle trimestrali possa offrire quell’appiglio necessario per invertire la direzione in questa ricerca frenetica del minimo sui mercati azionari e obbligazionari (nonché valutari, vista la forza del dollaro statunitense).

Ad oggi, tuttavia, osservando lo S&P 500 in queste 196 sedute di contrattazione registrate, oltre la metà – quasi il 57% (ovvero 112) – sono state in negativo con il mercato che viaggia in territorio di bear market a meno 25,14% da inizio anno.  Difficile per l’investitore (retail) restare concentrato sull’obiettivo di lungo periodo, tuttavia l’avvertenza è di non perdere la propria bussola.

Sesta seduta consecutiva di flessione per lo S&P500 e il Nasdaq, con il colpevole che questa volta non è da ricercare sul mercato obbligazionario, con i rendimenti sui Treasury statunitensi a diverse scadenze in calo. Ad incidere sull’evoluzione dei titoli l’antipasto offerto ieri dai prezzi alla produzione di settembre, saliti più del previsto, e innescando quella liquidazione di azioni, in attesa del dato odierno sull’IPC. I discorsi, sempre più falco dei membri della Fed, non sembrano essere di sollievo per i mercati, con il presidente della Fed di Minneapolis Kashkari, che ieri ha rimarcato l’obiettivo di lotta all’inflazione.  Dulcis in fundo, i verbali della riunione del FOMC del 20-21 settembre sono stati leggermente aggressivi per la politica della Fed e ribassisti per le azioni. Il verbale ha esposto come i responsabili politici abbiano riaffermato il loro forte impegno a riportare l’inflazione all’obiettivo del 2% della Fed e ha sottolineato che si mantiene la rotta anche se la disoccupazione è aumentata.

A tal riguardo il documento riporta come: “Diversi partecipanti hanno sottolineato la necessità di mantenere un orientamento restrittivo per tutto il tempo necessario, e un paio di essi hanno sottolineato che l’esperienza storica dimostra il pericolo di interrompere prematuramente i periodi di politica monetaria restrittiva volti a ridurre l’inflazione”. Difficile quindi ipotizzare che le tanto suonate campane di recessione possano far deragliare il percorso della Fed, la quale difficilmente si può far carico anche del mandato di crescita internazionale.

Interessante, tuttavia, osservare come i mercati non abbiano osservato alla lettera il verbale stesso, andando ad aumentare le scommesse su un possibile rialzo di 75 pb nella riunione di dicembre, con le probabilità salite da un 27,4% ad un attuale 35,1%. Rialzo che contraddice il verbale FOMC, il quale aveva messo nero su bianco come: “il percorso implicito nel mercato ha suggerito quote ragionevoli di ulteriori 75 punti base e 50 punti base di aumento del tasso alle riunioni di novembre e dicembre, rispettivamente”.

Continua a regnare l’incertezza nel Regno Unito, dove la stessa credibilità della BoE viene ora messa in discussione tra continue voci di sostegno e successive (e finali) smentite. La BoE ha infatti riportato che il suo QE terminerà questo venerdì, nonostante le pressioni del settore. Decisione che ha portato ad una serie di vendite sui titoli di stato britannici.

Intanto sul fronte energetico si iniziano a vedere le prime crepe diplomatiche. Da una parte gli Stati Uniti rivalutano l’alleanza nei confronti dell’Arabia Saudita, dopo lo sgambetto offerto nelle ultime riunioni OPEC+, con tagli della produzione e visioni piu’ in linea con quelle russe. Il Presidente Biden promette conseguenze e la notizia giunge il giorno dopo che il presidente della commissione per le relazioni estere del Senato, ha affermato che gli Stati Uniti devono immediatamente congelare ogni cooperazione con l’Arabia Saudita, compresa la vendita di armi.

Anche in Europa la Francia, per voce del suo ministro dell’economia Le Maire, rimarca l’inadeguatezza del supporto americano. “Non possiamo accettare che il nostro partner americano ci venda il suo Gnl a un prezzo quattro volte superiore a quello al quale vende agli industriali americani”, aggiungendo come “la guerra in Ucraina non deve sfociare in una dominazione economica americana e a un indebolimento dell’Unione europea”.

Giornata impegnativa, quella odierna, con la tanto attesa lettura sul livello di inflazione al consumo statunitense di settembre. Decisione che offrirà alta volatilità sui mercati. L’inflazione attesa è in calo all’8,1% (rispetto al 8,3% di agosto), tuttavia a sorprese.

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