Dalla ‘Higher for Longer’ alla Rivoluzione della Federal Reserve

La chiusura dell’analisi di ieri aveva prospettato scenari prudenti per la Federal Reserve:

“Nella riunione di oggi, potrebbe non sorprendere sentire il presidente Powell sottolineare la prematurità di dichiarare vittoria sull’inflazione in questo momento. Potrebbe anche ribadire la volontà della Fed di mantenere i tassi più elevati per un periodo prolungato, al fine di evitare che le condizioni finanziarie si spingano troppo oltre in attesa di una politica monetaria più accomodante.”

Ma la realtà ha superato ogni previsione. Il mantra “higher for longer” sembra essere stato spazzato via dal vocabolario della Federal Reserve, innescando una reazione entusiasta nei mercati, in tutti e undici i suoi settori, ancor prima della conferenza stampa di Jerome Powell, grazie alla pubblicazione della sintesi aggiornata delle proiezioni economiche (SEP).

Le nuove stime prospettano una diminuzione del tasso dei fed funds al 4,6% entro la fine del 2024, un ribasso rispetto alla precedente proiezione del 5,1% di settembre. Questo rappresenta una svolta significativa, segnando la prima proiezione al ribasso e suggerendo un possibile taglio dei tassi del 0,75% rispetto ai livelli attuali.

Non solo, le proiezioni sull’inflazione di fondo della spesa per consumi personali (PCE) nel 2024 si sono abbassate. Rispetto alla stima del 2,6% di settembre, l’attuale previsione mediana è del 2,4%, indicando un’inattesa moderazione.

La Federal Reserve è fiduciosa di aver raggiunto un “atterraggio morbido”, cioè una transizione economica senza scosse brusche.  È evidente che i mercati ora condividano questa convinzione. La Fed ha abbassato le stime sull’inflazione, ma non ha modificato le aspettative sul mercato del lavoro. Si aspettano che l’inflazione scenda senza un grave picco di disoccupazione, con una crescita del Prodotto Interno Lordo al +1,4% nel 2024. Questa è la definizione di atterraggio morbido.

Superata l’iniziale euforia dei mercati, il focus si sposterà ora sull’orologio degli imminenti tagli dei tassi. Al momento, gli investitori indicano con una probabilità del 72,9% un primo taglio già nella prossima riunione di marzo. Questo rappresenta un notevole incremento rispetto al 39,7% registrato appena il 12 dicembre scorso. Ma la vera rivoluzione si delinea nel quadro prospettato per il 2024: si prevede un taglio complessivo di circa 150 punti base, piazzando il tasso nella fascia del 3,75-4,00%. Un taglio che si rivela doppio rispetto alle più caute aspettative della Federal Reserve.

L’inaspettata aggressività dei prezzi, scatenatasi dopo la riunione, rende il mercato estremamente sensibile a ogni nuovo dato in arrivo. La volatilità è ora la regola, e ogni notizia influenzerà il corso degli eventi finanziari. Il palcoscenico è pronto per una fase di incertezza e adattamento alle nuove dinamiche economiche, sebbene resti ottimismo sul futuro di Wall Street.

 

In un contesto di marcata propensione al rischio, i mercati azionari americani hanno registrato un notevole rialzo nella seduta di ieri, spinti al rialzo dai ribassi nei rendimenti obbligazionari. L’indice Russell 2000, che funge da rappresentante per i titoli a piccola capitalizzazione statunitensi, è stato particolarmente brillante, evidenziando una crescita superiore al 3%. Il Dow Jones ha addirittura raggiunto un nuovo massimo storico, mentre l’S&P 500 si trova a soli -2% dal suo precedente record. Curiosamente, la sovraperformance del mercato non è stata guidata dalle solite protagoniste del settore tech, ma da settori più sensibili alle fluttuazioni dei rendimenti, tra cui utility, immobiliare, sanità e persino il comparto bancario. Un aspetto degno di nota è il notevole movimento dei rendimenti obbligazionari. Il rendimento del Treasury a 2 anni, notoriamente sensibile ai tassi di interesse, ha subito una perdita di oltre 0,30 punti percentuali nel corso della giornata, stabilendosi intorno al 4,43%, il livello più basso riscontrato da giugno. Similmente, i rendimenti a più lungo termine hanno registrato un significativo ribasso, con il rendimento del Treasury a 10 anni che è sceso di oltre 0,18 punti percentuali, posizionandosi appena sopra il 4%. Tuttavia, va notato che le contrattazioni odierne già indicano prezzi che si attestano al 3,96%.

Il calo dei rendimenti dei titoli del Tesoro ha pesato inoltre sul dollaro e ha sostenuto le quotazioni delle materie prime, con l’oro tornato a scambiare sopra i $2.000.

Oggi gli occhi sono puntati sulle decisioni di politica monetaria delle banche centrali, con particolare attenzione rivolta alla Swiss National Bank (SNB), alla Norges Bank, alla Bank of England (BoE) e alla Banca Centrale Europea (BCE).

La BCE, simile alla Fed, sembra orientata verso una politica più neutrale nel breve termine, segnalando chiaramente la rinuncia a ulteriori aumenti dei tassi, soprattutto alla luce dei recenti dati sull’inflazione, risultati notevolmente inferiori alle previsioni. È difficile immaginare Christine Lagarde fissare una tempistica specifica per un futuro taglio dei tassi, poiché sembra preferire un approccio più cauto, basato sulla risposta ai dati effettivi, noto come ‘data dependent’.

 

 

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