Il tanto atteso giorno è finalmente giunto. Oggi saranno infatti alzati i veli sul livello di inflazione statunitense, un dato fondamentale nelle scelte di politica monetaria della Fed. Con i mercati che scontano al 77% un aumento di 25pb nella prossima riunione del 1° febbraio, una percentuale in deciso aumento, basti pensare che al 12 dicembre tale rialzo era scontato solamente al 35%, l’umore dei mercati resta prevalentemente ottimista.
Lo si intravede dagli ultimi decisi movimenti al rialzo di questi giorni, post resoconto sull’occupazione di venerdì scorso, il quale ha evidenziato una moderazione della crescita salariale, a sostegno di una prospettiva di allentamento delle pressioni inflazionistiche. Risultato: rendimenti dei Treasury in calo e listini azionari in deciso spolvero, con il Nasdaq a sovraperformare lo S&P 500 e perfino il Bitcoin e l’ARKK a trarne vantaggio. Ottimismo che fatica a trattenersi, con tutti i settori americani in guadagno e con i consumi ciclici, materiali, tecnologia e comunicazioni a sovraperformare – segno che la paura di una recessione risulti essere meno probabile per i mercati di quanto questa venga ad essere riportata. (in attesa almeno dell’inizio della stagione delle trimestrali). A tal riguardo una conferma proviene ulteriormente dai rialzi del dottor rame, barometro della ripresa industriale.
Propensione al rischio che vede l’Europa anch’essa protagonista con il FTSE MIB tornare a scambiare sopra i 25 mila punti, su livelli pre-invasione russa, così come per Francoforte, Parigi, Amsterdam e lo stesso Euro Stoxx 50. Tutto questo accompagnato da un ritorno di forza della moneta unica, scambiata a 1,075 dollari (+12,7% dai minimi di settembre) e da un prezzo del gas TTF in deciso calo (-81% dai massimi di agosto).
Con tale ottimismo si alza la posta in gioco sulle letture odierne dell’inflazione. Le aspettative sono un rallentamento del valore, per il sesto mese consecutivo, a dicembre al 6,5% a/a e dello 0% su base mensile, con l’inflazione core in calo al 6,5%. Il calo dei prezzi della benzina e dei generi alimentari potrebbe probabilmente sostenere il calo della lettura, ma l’attenzione resta sembra sulle pressioni dell’inflazione sui servizi e core.
Intanto i dati sull’inflazione cinese, pubblicati nella notte, hanno evidenziato un calo più netto del previsto dei prezzi alla produzione (fortemente trainati dalle materie prime), mentre i prezzi al consumo hanno accelerato in linea con le aspettative. Situazione che potrebbe segnalare un calo delle pressioni inflazionistiche globali.
Restando in Asia, e spostandosi in Giappone, restano alte le pressioni sulla Nippon Ginkō (la Banca Centrale Giapponese), con i rendimenti dei titoli di stato decennali che scambiano sopra il cap di 50 pb. Si discute in particolare di nuove possibili revisioni della politica di controllo della curva dei rendimenti, secondo quanto riportato dal quotidiano Yomiuri (e condiviso da Reuters). Anche se non confermata, la notizia ha comunque spinto al rialzo i tassi dello JPY e al ribasso la coppia USD/JPY, con i mercati che ora attribuiscono una maggiore probabilità che la Banca del Giappone, già la prossima settimana, modifichi ulteriormente l’assetto di controllo della curva dei rendimenti. Con un’inflazione attesa al rialzo da parte delle famiglie e con i prezzi al consumo di Tokyo al 4%, un indicatore anticipatore delle tendenze a livello nazionale, crescono ora le pressioni sulla BoJ. Intanto gli interest rate swap sul decennale giapponese scambiano allo 0,96%, allargando il divario con il rendimento ufficiale del decennale.
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