Attacco al peg

Non solamente le stablecoin lottano per mantenere il peg. Dopo il crollo di TerraUSD e l’attenzione rivolta sulle stabilità delle altre stablecoin, è passato in secondo piano come anche l’economia reale, in questi giorni, abbia avuto non pochi problemi a mantenere il proprio ancoraggio, a causa dell’interminabile apprezzamento del dollaro americano (+15% nell’ultimo anno). A soffrirne maggiormente quelle economie che hanno deciso di limitare la propria sfera di autonomia di politica monetaria per abbracciare un ormeggio con un’altra valuta, in questo caso l’USD.

Ancoraggio che ben funziona per piccole economie aperte come Macao, Hong Kong e Panama o Paesi produttori di materie prime come Bahrain, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti o infine per quei piccoli Paesi con un alto tasso di rimessa di lavoratori dagli Stati Uniti, come i Paesi delle isole caraibiche. Se utilizzato invece come ultima risorsa, vedi Argentina, gli effetti possono essere dolorosi.

Ricordiamo come esistono due tipi di tassi di cambio: fluttuanti e fissi. Le principali valute, come il dollaro USD, l’euro, lo yen giapponese, sono fluttuanti, ovvero il loro valore cambia in base alla domanda e all’offerta nel mercato valutario. Eventuali cambiamenti nei prezzi delle valute indicano, pertanto, un rafforzamento o un indebolimento dell’economia. Le valute fisse, d’altra parte, traggono valore essendo “fissate” su un’altra valuta. La maggior parte delle economie dei mercati in via di sviluppo o emergenti utilizza tassi di cambio fissi per le proprie valute. Ciò fornisce maggiore stabilità ai paesi esportatori e importatori e mantiene bassi i tassi di interesse.

Hong Kong ha da poco dovuto attingere alle sue riserve ($722 milioni) per mantenere stabile le fluttuazioni della sua valuta HKG nel range di 7,75 -8,85 dollari di Hong Kong per dollaro statunitense. L’autorità monetaria ha infatti dichiarato di aver venduto dollari statunitensi per acquistare 1,586 miliardi di HK$, circa $202 milioni, durante le ore di contrattazione di mercoledì. In seguito, ha dichiarato di aver venduto altri $520 milioni durante la seduta di giovedì.

Nuove importanti sfide sono alla porta per le principali banche ancorate al peg. Hong Kong, alle prese con la sempre maggiore ingerenza di Pechino, rischia di perdere i privilegi di cui la città ha goduto da diversi anni. Inoltre, la necessità di rialzi dei tassi d’interesse, per seguire le decisioni americane, pone all’attenzione il rischio di una diversa situazione macroeconomica. L’inflazione americana corre, infatti, sui massimi degli ultimi 41 anni, a circa l’8,3%, mentre quella asiatica a solamente l’1,7% (ovvero solamente sui massimi dello scorso dicembre). Disoccupazione che invece evidenzia una situazione opposta, con gli Stati Uniti che riportano un andamento decrescente, al 3,6% mentre ad Hong Kong l’andamento è opposto con una crescita che si è attestata nell’ultima lettura al 5%. Un rialzo dei tassi d’interesse rischia quindi di compromettere un’economia che evidenzia maggiormente rischi di crescita piuttosto che rischi inflazionistici.

Anche i Paesi del Medio Oriente sono all’attenta analisi del loro ancoraggio storico con il dollaro americano. Il tema inflazione è in questo momento il motivo principale delle discussioni. Infatti, a seconda del prezzo del petrolio, nel corso degli anni questi regimi ancorati hanno subito pressioni ribassiste (petrolio debole, valute sopravvalutate viste come deflazionistiche), oppure, come in questo momento, al rialzo (petrolio forte, valute sottovalutate viste come inflazionistiche). Non dovremmo assistere a preoccupazioni sul peg in tale area geografica, grazie alla crescita che gli elevati prezzi del petrolio garantiscono alla regione. Il boom della crescita e l’aumento dell’inflazione dovrebbero quindi rendere gestibile seguire il ciclo di inasprimento della Fed, senza eccessive preoccupazioni.

In un momento di maggiore turbolenza finanziarie i “vecchi” istituti centrali hanno dimostrato di essere stato migliore degli algoritmi, a dimostrazione di come il capitale umano non sempre sia inferiore a un algoritmo.

 

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